Giuseppe Chionetti, responsabile del progetto di certificazione del vero “Cacciucco Livornese Tipico Tradizionale 5 C”, ci racconta l’origine della parola Cacciucco, la ricetta sicuramente più conosciuta e apprezzata della cucina livornese.
Ahmet viveva con i genitori a Karşıyaka, un tranquillo paese sulla costa nord della baia di Smirne, dove era nato dopo la metà del 1600 (purtroppo non è dato a sapere l’anno preciso, però si sa con certezza che è compreso tra il 1665 e il 1670). Suo padre faceva il pescatore e fin dalla prima infanzia lo portava spesso con sé in barca. Al piccolo Ahmet piaceva andare in barca e sognava sempre di poter attraversare la baia, che a lui appariva come un mare immenso.
Nella costa di fronte a Karşıyaka (che in turco significa l’altra sponda) c’era la città di Smirne che gli sembrava lontanissima (anche se in realtà dista meno di sei chilometri in linea d’aria) e spesso chiedeva a suo padre se là finiva il mondo. Finalmente venne il giorno che sognava: suo padre acconsente di portarlo con sé a Smirne per vendere il pesce della giornata. Al settimo cielo per la felicità, si sentiva uno dei grandi navigatori di cui aveva sentito spesso le storie. Ad Ahmet oltre che andare in barca, piaceva molto stare nell’osteria di sua madre Mirjam, perché assaggiava le pietanze che lei preparava e soprattutto poteva ascoltare i racconti fantastici dei marinai che frequentavano la taverna.
Racconti che diventavano più affascinanti dopo qualche bicchiere di raki. Mirjam cucinava i pesci ogni giorno, utilizzando quelli che il marito non riusciva a vendere, quasi sempre di piccola taglia perché meno richiesti. Ahmet invece preferiva proprio i pesci piccoli che la mamma sapeva cucinare in modo gustoso.
Preparava una speciale “balik çorbası” (zuppa di pesce, una pietanza che con varie differenze era diffusa in tutti i paesi rivieraschi del mondo sin dai tempi degli Ittiti e dei Fenici) che si differenziava per gusto e fragranza da quelle preparate dalle altre osterie.
Metteva i diversi tipi di pesce in una capace pentola (se per caso qualche pesce era troppo lungo lo tagliava a fette), dove prima aveva fatto soffriggere della cipolla, dell’aglio, abbondanti capperi, qualche foglia di salvia e un poco di peperoncino. I capperi e la salvia crescevano in cespugli spontanei sulle rigogliose colline proprio alle spalle di Karşıyaka. Ahmet aveva il compito della loro raccolta, il che lo rendeva molto fiero e svolgeva questo incarico con grande diligenza. Talvolta i pesci invenduti erano molti, pertanto alcuni rimanevano più giorni nella dispensa prima che fossero cucinati.
In questo caso la mamma, quando cuoceva i pesci rimasti più giorni in dispensa, aggiungeva al liquido di cottura mezzo bicchiere d’aceto e abbondava con il peperoncino. Ahmet cresceva alternandosi tra la pesca, la cucina e la scuola, ma più cresceva, più quel mondo gli stava stretto.
Diventato giovanotto sempre più spesso andava da solo a vendere il pescato a Smirne dove si fermava per più tempo. La città era un importante scalo commerciale turco, snodo fra le piste carovaniere dell’Asia e le rotte del Mediterraneo. La sua popolazione era poliglotta, multi-etnica e multi-confessionale, con la presenza di greci, armeni, ebrei, levantini. A Smirne Ahmet frequentava i mercanti che commerciavano con i paesi del Mediterraneo. In particolare aveva conosciuto Özgür, un ricco mercante che spesso faceva viaggi al porto franco di Livorno per vendere e comprare merci. Özgür raccontava come la popolazione di Livorno fosse molto simile a quella di Smirne (ripeteva spesso “stessa faccia, stessa razza”): dedita al commercio per mare, cosmopolita, multietnica e accogliente verso gli stranieri di qualsiasi provenienza e confessione religiosa. Questo grazie ad un certo duca di Toscana Ferdinando, che nel 1593 aveva emanato una legge detta livornina, indirizzata ai “mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portughesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani”, ai quali garantiva libertà di culto, di professione religiosa e politica ed assicurava la libertà di esercitare un qualsiasi mestiere.
Questi racconti affascinavano Ahmet, tanto da chiedere al mercante di portarlo con sé come aiutante nel prossimo suo viaggio a Livorno. Özgür esaudì la sua richiesta dicendogli di prepararsi perché la nave sarebbe salpata con il carico nel giro di una settimana.
Ahmet sbarcò nel porto franco di Livorno a giugno del 1693, cent’anni esatti dopo la promulgazione delle leggi livornine. Appena messo piede a terra rimase sbigottito nel vedere di fronte al porto un monumento con quattro mori incatenati ai piedi del Gran Duca. A quella vista fu preso dall’angoscia per il timore che il mercante gli avesse mentito sulla multietnicità di Livorno. Angoscia che si dissolse, con suo grande sollievo, appena vide le persone che al porto attendevano lo scarico delle merci dalle navi: avevano vestiti di varie fogge e aspetti che rivelavano etnie diverse. Terminato di scaricare le merci, il mercante presentò ad Ahmet un acquirente turco di nome Soner che da tempo risiedeva a Livorno, dove commerciava in spezie orientali. Ahmet gli chiese subito come poteva fare per stabilirsi anche lui a Livorno. Soner, dopo aver sentito cosa sapesse fare, gli suggerì di aprire una taverna nei pressi del porto, in quanto i livornesi non erano secondi a nessuno quando si trattava di sedersi a tavola.
Conoscendo le scarse disponibilità economiche di Ahmet, gli offrì anche la possibilità di aprire la taverna in un suo fondo, con la possibilità di pagare l’affitto solo dopo i primi incassi. Ahmet si mise subito al lavoro e inaugurò la sua taverna “da Ahmet” dove il piatto forte, manco a dirsi, era la “balık çorbası” che lui preparava come faceva la sua mamma. Come unica variazione aveva eliminato i capperi e aggiunto la salsa di pomodoro, una novità giunta da poco a Livorno da Siviglia, proveniente dal nuovo mondo. Se i pesci non erano freschissimi aggiungeva sempre mezzo bicchiere d’aceto e abbondava con il peperoncino, come faceva la mamma. Il sapore particolare incontrava il gusto degli avventori che piano piano aumentavano tramite il passaparola. Agli inizi, per mancanza di fondi, cercava di spendere poco comprando solo piccoli pesci di varie tipologie, rimasti invenduti sui banchi dei pescatori.
A chi cercava di vendergli pesci di taglia più grande ad un prezzo maggiore, Ahmet replicavca: “küçük balik” (piccoli pesci), ripetendo più volte l’aggettivo küçük, rinforzato con il gesto dei due indici che ne indicavano la taglia. Per questo i pescatori, con la tipica ironia canzonatoria labronica, soprannominarono “Cacciucco” il nostro Ahmet.
Il nome passò da lui alla sua taverna e infine alla sua “çorbası”, che astutamente, anticipando le moderne tecniche di “naming” del marketing, rinominò Cacciucco (rigorosamente con 5 C), visto che il nome piaceva, era originale, facilmente pronunciabile e facilmente ricordabile. Ahmet, dopo aver sposato una certa Corinna, aveva trasformato la sua taverna in una vera e propria osteria spostandola nel quartiere Venezia, dove gli avventori facevano la fila per gustare il suo Cacciucco. Purtroppo, di lui e di suoi eventuali discendenti, si sono perse le tracce dopo il disastroso terremoto del 27 gennaio 1742 che distrusse parte della città.
Il termine Cacciucco, però continuò a diffondersi, tanto che Giuseppe Riguntini dopo circa 120 anni (1864) lo introdusse nelle “Giunte” al suo Vocabolario dell’uso toscano (prima volta che il termine cacciucco appare in uno scritto), edito a Firenze “coi tipi di M. Cellini e C.” dove si legge: “Cacciucco sost. Specie di vivanda marinaresca, composta di moltissimi ingredienti. – Con maniera bassa Pigliare tutto il cacciucco, significa Pigliare insieme tutti in una volta. Ordinariamente dicesi di arresti fatti dalla Polizia. Es.: Stamattina è stato preso il caporione con tutto il cacciucco.”
Ventisette anni dopo (1891) Pellegrino Artusi nel suo libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (quindici edizioni da lui curate personalmente fino al 1911) descrive per la prima volta la ricetta del cacciucco livornese, che non si discosta molto da quella che Ahmet preparava 150 anni prima, aceto compreso.
Giuseppe Chionetti